A metà dell’anno in corso, in Italia, si sono verificati una quarantina di uccisioni di donne per mano di amici, partners o mariti; nell’ultima settimana ci hanno particolarmente colpite l’uccisioni di due donne e della loro storia di vita:
Giulia Tramontano di 29 anni, incinta al settimo mese, è stata uccisa a Senago, in provincia di Milano dal suo ex compagno padre del bambino, che sadicamente ha fatto finta per giorni di cercala al cellulare. Se non fosse stato per la diversa visione della nuova compagna che si è resa conto della realtà disumana di quest’uomo, e l’ha denunciato creando quel filo di solidarietà tra donne indispensabile per fare fronte alla barbarie, probabilmente il “lui” sarebbe ancora a piede libero e sarebbe una minaccia futura.
Pier Paola Romano agente di polizia, è stata uccisa a Roma da parte di un collega poliziotto con cui aveva avuto una relazione, l’assassino poi si è tolto la vita. La donna aveva interrotto la relazione che evidentemente la infastidiva, aggravata dalla sua condizione di salute, per riallacciare il legame col marito. L’assassino non l’ha tollerato, e non ha tollerato nemmeno la sua esistenza!
Non possiamo arrenderci ed assuefarci a questi barbari assassinii e alle tristissime realtà che continuano a proliferare nella società malata di maschilismo: ma sappiamo che occorre coinvolgere soprattutto gli uomini in un percorso di approfondimento e comprensione della complessità delle relazioni uomo-donna. I due casi citati sono diversi, ma quale è la matrice comune da smascherare? Possiamo accontentarci di evidenziare la cultura patriarcale alla base di queste violenze o è necessario riconoscerla nelle strutture istituzionali di base e di vertice della nostra società e agire per il cambiamento? Quali percorsi educativi possono essere posti in atto? […]